LE CASTAGNE
Con l’avvento dei Romani, le popolazioni delle nostre montagne hanno lentamente sostituito la quercia (rogura o rugura), che cresceva spontaneamente, con il castagno che era molto più utile in quanto, oltre al frutto commestibile dal quale si otteneva anche la farina, forniva le foglie per lo strame delle mucche, la corteccia da cui si estraeva il tannino per conciare le pelli e il legno per la fabbricazione di mobili e infine la legna da ardere, anche se sporcava molto le canne fumarie appunto perché rilascia il tannino.
Anche il guscio delle castagne (la rüsca o la fufa), in quanto contiene il tannino, era utilizzato dai pescatori per tingere e rafforzare la seta delle reti. Nel Medioevo, come nell’età moderna, le castagne, proprio per la loro facile reperibilità, il basso prezzo e l’elevato potenziale nutritivo erano considerate un alimento a prevalente consumo popolare. Nei paesi di montagna la farina di castagne era infatti utilizzata per la panificazione, per polente e pappe e spesso sopperiva alla carenza della farina dei cereali.
Il tipico castagneto da frutto sui nostri monti è costituito da grandi esemplari arborei, talvolta plurisecolari, allevati in densità rada, la cosiddetta selva, in modo da ottenere un’abbondante fruttificazione. L’albero di castagno il più diffuso nei boschi sopra tutti i paesi rivieraschi sino oltre i 1000 metri di altitudine, necessitava di poche cure e dava abbondanti frutti. Le piante erano tutte innestate con qualità pregiate e ogni anno si mondavano dagli eventuali rami secchi o malati. Il castagno fiorisce a maggio o a giugno, a seconda che la primavera sia stata molto o poco piovosa. La fioritura era attesa con molta ansia. Vi era un detto che affermava se il castagno fioriva a maggio il raccolto sarebbe stato molto abbondante, mentre se fioriva a giugno il raccolto sarebbe stato scarso. Se el castagn el fiurìs de mac, prépara el sach, se el fiurìs de giügn, prépara el pügn (Se il castagno fiorisce a maggio, prepara il sacco, se fiorisce a giugno, prepara il pugno). A San Roch i risc i èn a un tiir de s’ciop (per la festa di San Rocco, 16 agosto, i ricci sono a un tiro di schioppo). Secondo un anziano contadino tale detto va interpretato nel seguente modo: in quella data i ricci si potevano vedere maturi e semiaperti alla distanza di un tiro di schioppo, cioè a circa sessanta metri.
La produzione dei frutti commestibili, ricchi di amidi, rivestiva un ruolo fondamentale ancora all’inizio del XX secolo: alcuni castagni fornivano, infatti, frutti sufficienti al fabbisogno alimentare di una famiglia durante tutta la stagione invernale.
L’abbandono del lavoro nella campagna nella seconda metà del XX secolo ha provocato l’inselvatichimento dei castagneti ed ha agevolato il diffondersi del cancro della corteccia, con un ridimensionamento complessivo della qualità del prodotto.
Nei boschi di Colico e di Dorio si coltivavano diverse qualità di castagne, mancavano solo i marùn. La maggior parte di castagne erano caravìn, piccole, un po’ rossicce ma molto dolci. Poi c’era la qualità verdala e invernìsc: queste erano castagne grosse che si utilizzavano per trasformarle in belegòt, perché erano facili da sbucciare. C’erano infine i velarìn e i murei che erano una qualità più piccola e avevano una buccia scura.
La raccolta delle castagne
Sotto ogni piantone (èrbul), il contadino ripuliva con particolare cura il terreno e già da settembre preparava dei ripari o recinzioni di frasche (i scees), alti circa mezzo metro per far sì che ricci e castagne, cadendo dall’albero, si fermassero senza rotolare lontano e finire magari in un’altra proprietà. A fine settembre iniziava la raccolta. Il detto affermava “Per san Michèl, la categna la sta pü in ciel, o marüda o amò de marüdà, la castegna la vör crudà” (per san Michele 29 settembre la castagna non sta più in cielo, o matura o ancora da maturare la castagna vuol cadere. Così si iniziava a bacchiare (pertegà) con un lungo palo gli alberi in modo che tutte le castagne mature cadessero a terra e venissero raccolte in una sola volta. Non era economico aspettare che cadessero una ad una. Inoltre la fame che teneva sempre compagnia soprattutto agli stomaci più giovani spingeva a raccogliere anche quelle di altrui proprietà, se nessuno le vigilava. Le donne e i ragazzi con tenaglie di legno (risciaröle) raccoglievano in cavagn i ricci.
L’uso delle castagne
I contadini vendevano gran parte delle castagne appena raccolte, prima degli anni Sessanta, ai fruttivendoli o ai corrieri che, a loro volta, le avrebbero rivendute sul più vasto mercato di Lecco e di Como. Con due stèe (stai) di castagne si otteneva uno staio di farina. Lo staio era uno strumento di misura costituito da un recipiente di metallo con un’impugnatura, con regolare sigillo. Un’altra parte dei frutti era conservata attraverso l’essicazione e un’altra era consumata fresca dai familiari.
L’essiccazione delle castagne
Parte delle castagne era fatta seccare per garantirne la conservazione per l’inverno. Il metodo più usato per l’essiccazione delle castagne, poiché dava ottimi risultati in tempi relativamente brevi, consisteva nello stenderle su rudimentali grate, ottenute anche con file di lunghi e sottili bastoni o di canne, messi a una distanza tale che le castagne non cadessero nelle fessure tra l’uno e l’altro. Di solito queste grate (grèe) venivano costruite in una piccola stalletta non lontano da casa o nello stesso bosco. Sotto queste grate si accendeva un fuoco esteso che tuttavia non doveva produrre fiamma, per non scottare le castagne, ma soltanto molto fumo e un po’ di calore. La brace veniva mantenuta viva giorno e notte con la buccia (el güüs) delle castagne dell’anno precedente opportunamente inumidita con acqua in modo che bruciasse senza fare fiamma, ma doveva brasà, cioè consumare a rilento, obbligando così anche la legna ricoperta a bruciare lentamente. Dopo una ventina di giorni le castagne erano secche. Si procedeva quindi a liberarle dai due tegumenti che ricoprono il seme: se ne mettevano alcune manciate in un sacco di canapa stretto e lungo, e con moto rotatorio l’estremità contenente le castagne era sbattuta su un ceppo di legno ricoperto da un sacco di iuta, che veniva bagnato con acqua bollente ogni dieci o quindici minuti di battitura per mantenere morbidi i sacchetti delle castagne ed evitare che il frutto si rompesse. Poi le donne, con il ventilabro (el val), le mondavano dai pezzi di tegumento. Si passavano intere serate in casa a raccontare storielle e pettegolezzi, mentre tutti intorno al tavolo separavano le bianche castagne nude da quelle che si erano spezzate, dai pezzetti di tegumento e da quelle malate o bacate da dare agli animali. Le castagne così ottenute si conservavano a lungo, anche se la fame faceva sì che, una volta bollite, sparissero in fretta dal piatto. Le castagne a pezzi (el früciàm) non erano commerciabili e allora si cuocevano nella minestra risparmiando così il riso o la pasta.
Durante il periodo della raccolta molta gente, soprattutto bambini e donne, andava anche a raccogliere le castagne nei boschi comunali, e magari anche in qualche proprietà privata non custodita; per giustificare questi furtarelli si rifacevano al detto: “La castègna la g’ha la cua, chi lé ciapa l’è sua (la castagna ha la coda, chi la prende è sua)”. .I contadini della montagna arrivavano in paese con i carretti stracolmi, trainati dai muli, e riempivano i vagoni dei treni merci con sacchi da un quintale per essere venduta nelle città della pianura.
Didascalie delle foto
Anche il guscio delle castagne (la rüsca o la fufa), in quanto contiene il tannino, era utilizzato dai pescatori per tingere e rafforzare la seta delle reti. Nel Medioevo, come nell’età moderna, le castagne, proprio per la loro facile reperibilità, il basso prezzo e l’elevato potenziale nutritivo erano considerate un alimento a prevalente consumo popolare. Nei paesi di montagna la farina di castagne era infatti utilizzata per la panificazione, per polente e pappe e spesso sopperiva alla carenza della farina dei cereali.
Il tipico castagneto da frutto sui nostri monti è costituito da grandi esemplari arborei, talvolta plurisecolari, allevati in densità rada, la cosiddetta selva, in modo da ottenere un’abbondante fruttificazione. L’albero di castagno il più diffuso nei boschi sopra tutti i paesi rivieraschi sino oltre i 1000 metri di altitudine, necessitava di poche cure e dava abbondanti frutti. Le piante erano tutte innestate con qualità pregiate e ogni anno si mondavano dagli eventuali rami secchi o malati. Il castagno fiorisce a maggio o a giugno, a seconda che la primavera sia stata molto o poco piovosa. La fioritura era attesa con molta ansia. Vi era un detto che affermava se il castagno fioriva a maggio il raccolto sarebbe stato molto abbondante, mentre se fioriva a giugno il raccolto sarebbe stato scarso. Se el castagn el fiurìs de mac, prépara el sach, se el fiurìs de giügn, prépara el pügn (Se il castagno fiorisce a maggio, prepara il sacco, se fiorisce a giugno, prepara il pugno). A San Roch i risc i èn a un tiir de s’ciop (per la festa di San Rocco, 16 agosto, i ricci sono a un tiro di schioppo). Secondo un anziano contadino tale detto va interpretato nel seguente modo: in quella data i ricci si potevano vedere maturi e semiaperti alla distanza di un tiro di schioppo, cioè a circa sessanta metri.
La produzione dei frutti commestibili, ricchi di amidi, rivestiva un ruolo fondamentale ancora all’inizio del XX secolo: alcuni castagni fornivano, infatti, frutti sufficienti al fabbisogno alimentare di una famiglia durante tutta la stagione invernale.
L’abbandono del lavoro nella campagna nella seconda metà del XX secolo ha provocato l’inselvatichimento dei castagneti ed ha agevolato il diffondersi del cancro della corteccia, con un ridimensionamento complessivo della qualità del prodotto.
Nei boschi di Colico e di Dorio si coltivavano diverse qualità di castagne, mancavano solo i marùn. La maggior parte di castagne erano caravìn, piccole, un po’ rossicce ma molto dolci. Poi c’era la qualità verdala e invernìsc: queste erano castagne grosse che si utilizzavano per trasformarle in belegòt, perché erano facili da sbucciare. C’erano infine i velarìn e i murei che erano una qualità più piccola e avevano una buccia scura.
La raccolta delle castagne
Sotto ogni piantone (èrbul), il contadino ripuliva con particolare cura il terreno e già da settembre preparava dei ripari o recinzioni di frasche (i scees), alti circa mezzo metro per far sì che ricci e castagne, cadendo dall’albero, si fermassero senza rotolare lontano e finire magari in un’altra proprietà. A fine settembre iniziava la raccolta. Il detto affermava “Per san Michèl, la categna la sta pü in ciel, o marüda o amò de marüdà, la castegna la vör crudà” (per san Michele 29 settembre la castagna non sta più in cielo, o matura o ancora da maturare la castagna vuol cadere. Così si iniziava a bacchiare (pertegà) con un lungo palo gli alberi in modo che tutte le castagne mature cadessero a terra e venissero raccolte in una sola volta. Non era economico aspettare che cadessero una ad una. Inoltre la fame che teneva sempre compagnia soprattutto agli stomaci più giovani spingeva a raccogliere anche quelle di altrui proprietà, se nessuno le vigilava. Le donne e i ragazzi con tenaglie di legno (risciaröle) raccoglievano in cavagn i ricci.
L’uso delle castagne
I contadini vendevano gran parte delle castagne appena raccolte, prima degli anni Sessanta, ai fruttivendoli o ai corrieri che, a loro volta, le avrebbero rivendute sul più vasto mercato di Lecco e di Como. Con due stèe (stai) di castagne si otteneva uno staio di farina. Lo staio era uno strumento di misura costituito da un recipiente di metallo con un’impugnatura, con regolare sigillo. Un’altra parte dei frutti era conservata attraverso l’essicazione e un’altra era consumata fresca dai familiari.
L’essiccazione delle castagne
Parte delle castagne era fatta seccare per garantirne la conservazione per l’inverno. Il metodo più usato per l’essiccazione delle castagne, poiché dava ottimi risultati in tempi relativamente brevi, consisteva nello stenderle su rudimentali grate, ottenute anche con file di lunghi e sottili bastoni o di canne, messi a una distanza tale che le castagne non cadessero nelle fessure tra l’uno e l’altro. Di solito queste grate (grèe) venivano costruite in una piccola stalletta non lontano da casa o nello stesso bosco. Sotto queste grate si accendeva un fuoco esteso che tuttavia non doveva produrre fiamma, per non scottare le castagne, ma soltanto molto fumo e un po’ di calore. La brace veniva mantenuta viva giorno e notte con la buccia (el güüs) delle castagne dell’anno precedente opportunamente inumidita con acqua in modo che bruciasse senza fare fiamma, ma doveva brasà, cioè consumare a rilento, obbligando così anche la legna ricoperta a bruciare lentamente. Dopo una ventina di giorni le castagne erano secche. Si procedeva quindi a liberarle dai due tegumenti che ricoprono il seme: se ne mettevano alcune manciate in un sacco di canapa stretto e lungo, e con moto rotatorio l’estremità contenente le castagne era sbattuta su un ceppo di legno ricoperto da un sacco di iuta, che veniva bagnato con acqua bollente ogni dieci o quindici minuti di battitura per mantenere morbidi i sacchetti delle castagne ed evitare che il frutto si rompesse. Poi le donne, con il ventilabro (el val), le mondavano dai pezzi di tegumento. Si passavano intere serate in casa a raccontare storielle e pettegolezzi, mentre tutti intorno al tavolo separavano le bianche castagne nude da quelle che si erano spezzate, dai pezzetti di tegumento e da quelle malate o bacate da dare agli animali. Le castagne così ottenute si conservavano a lungo, anche se la fame faceva sì che, una volta bollite, sparissero in fretta dal piatto. Le castagne a pezzi (el früciàm) non erano commerciabili e allora si cuocevano nella minestra risparmiando così il riso o la pasta.
Durante il periodo della raccolta molta gente, soprattutto bambini e donne, andava anche a raccogliere le castagne nei boschi comunali, e magari anche in qualche proprietà privata non custodita; per giustificare questi furtarelli si rifacevano al detto: “La castègna la g’ha la cua, chi lé ciapa l’è sua (la castagna ha la coda, chi la prende è sua)”. .I contadini della montagna arrivavano in paese con i carretti stracolmi, trainati dai muli, e riempivano i vagoni dei treni merci con sacchi da un quintale per essere venduta nelle città della pianura.
Didascalie delle foto
- Piccola cascinetta di pietra con tetto coperto di piode chiamata la gree o la graa per l’essiccazione delle castagne.
- Castagno carico di frutti maturi
- Siepe messa attorno alla pianta per evitare che le castagne cadendo si disperdano sul terreno
- Raccolta delle castagne
- Si “carica” la gree, cioè si buttano sulle grate le castagne per essere essiccate
- Si è acceso sotto la grata il fuoco e il fumo disidrata i frutti
- Le castagne essiccate si battono per liberarle dai loro tegumenti
- Con il ventilabro si separa la buccia dal frutto
- A mano si liberano le castagne da resti di guscio
- Le castagne secche che saranno consumate durante l’inverno.