La Pesca
Un antico mestiere da sempre praticato sulle nostre sponde
Alcune foto, d'epoca e non...
Alcune foto, d'epoca e non...
I pescatori di Olgiasca raccontano
- La caccia di selvaggina acquatica a Olgiasca e nel Pian di Spagna
in due persone. La zona in cui cacciavamo partiva dal Pian di Spagna fino ad arrivare nei dintorni della costa di Olgiasca. Partivo da casa verso le quattro del mattino con un grande freddo nelle ossa perché il periodo adatto andava dall’autunno a fine gennaio. Arrivato sul posto mettevo in acqua gli stampi che sono anatre di plastica fatte e dipinte molto bene oltre naturalmente a parecchie anatre vive, di mia proprietà, che facevano da richiamo. Mi sdraiavo nel barchino e aspettavo. Quando le anatre passavano in volo erano attratte dal fortissimo richiamo delle mie e si posavano sull’acqua a circa 300 o 500 metri da me. Mi avvicinavo allora molto piano per non spaventarle, finché non erano a tiro. Sparavo con un cannoncino da 43 mm. posto tra le gambe. A volte si prendevano, se si era fortunati, fino a quindici uccelli, a volte solo due o tre, altre volte niente. Le specie che cacciavo erano: germani, folaghe, fischioni, canapiglie, alzavole, mestoloni, morette, etc. Negli anni ’50 – ‘60 ho cacciato anche in un capanno alla foce dell’Adda. Usavo un fucile. Quello che mi ha spinto per tutti quegli anni a fatiche e freddo è stata la grande passione”. (Testimonianza diretta a A.S. di anni 89).
- Pesca alla tinca
- Pesca agli agoni dai piudée
- Pesca degli agoni con il quadrato
Prima dell’avvento del quadrato tutti usavano el sibièl cioè una rete fatta passare in un cerchio di ferro, fissata ad esso con un manico lungo circa tre metri. Si entrava in acqua per circa setto o otto metri finché il lago arrivava alla vita. Dato il clima caldo eravamo in mutande! Io aspettavo che mio papà mi buttasse gli agoni che mettevo in un cesto sulle rocce intorno. Se il clima era favorevole in una serata prendevamo trenta o quaranta agoni che consumavamo freschi”.
- Pesca con le reti
- Lavorazione e conservazione degli agoni
- Pesca del lavarello
Per la pesca del lavarello attualmente uso la mia barca e mi sposto sino ad arrivare nei “miei” luoghi preferiti. Il lavarello staziona a una profondità di circa 20 – 30 m. Per trovare i banchi di pesci oggi si usa un attrezzo chiamato ecoscandaglio che segnala la presenza di pesci senza specificare la specie. Il lavarello si pesca tutto l’anno eccetto il periodo che va dal 1° dicembre al 15 gennaio. Per pescare il lavarello serve una canna con mulinello per riuscire a raggiungere il fondo (20 - 30 m.). Alla canna è legato un filo di nylon lungo 3 – 4 m. a cui sono attaccati un massimo di 15 ami n° 14 distanziati uno dall’altro 30 – 40 m. Questi ami sono parzialmente ricoperti da un piccolo strato di plastica che può essere di colori diversi: rosso, verde, viola, giallo, arancione; questi colori servono per attirare il pesce che li scambia per vermicelli rimanendo così impigliato all’amo. Il pescatore sente la vibrazione della canna e vede il cimino (o punta) abbassarsi; dà un lieve ma deciso colpetto e il pesce rimane attaccato. Bisogna farlo nel modo giusto e l’esperienza è una buona compagna! Si dà inizio al recupero che viene fatto lentamente, senza fermarsi o dare forti scossoni. Arrivato a filo d’acqua il lavarello viene recuperato con il guadino (specie di prendi farfalle); viene poi messo in un secchio, ma se la stagione è calda lo metto in un piccolo frigo che porto con me per assicurarne la freschezza. Terminata la pesca il filo viene avvolto su apposite spolette (aspìn) con gli ami affranca uno ad uno. È da 60 anni ormai che vado a pescare ed ogni volta è un’emozione nuova. Il lavarello è ottimo cotto al burro e salvia, al forno con aromi (salvia, rosmarino, timo selvatico, detto appunto erba di pès ecc) alla piastra, in carpione se non è molto grosso ….”
- Pesca con frosna (fiocina)
- Pesca delle alborelle
- La pesca alla carpa
- Pesca della trota
Per la pesca fin dal Medioevo si usava la molagna che corrisponde all’attuale tirlindana o dirlindana a rullo. Nel Novecento i nostri pescatori usavano una molagna per la pesca di galla, quando le trote salivano in superficie a cercare le prede, e un’altra di fondo con pesi. Spesso però pescavano con le due molagne simultaneamente.
I pescatori le davano la caccia, nel periodo in cui non era vietata la pesca, sia durante la giornata che nelle notti di plenilunio. Uscivano di solito in due: uno remava e l’altro calava e ritirava le lenze, entrambi dovevano essere abili, perché la buona riuscita della pesca dipendeva sia dal rematore che dal pescatore.
Prima di salpare, i pescatori preparavano la barca con tutti gli attrezzi per la pesca. Sul burlùn, collocato in barca, è già avvolta la lenza di rame o di acciaio (el fil maèstru), con la prima parte del filo che si rilascia in acqua formata da un cordino leggero cui si attacca il peso della zavorra più grosso. Sul filo maestro a intervalli di dieci metri c’erano dei semplici anellini cui si agganciava il moschettone delle lenze con il cucchiaino. Al posto degli anellini oggi si usano le girelle a bandiera. Le lenze lunghe nove metri e mezzo venivano chiamate brasciöö. A inizio secolo questa lenza era fatta di crine di cavallo lavorato, poi negli anni Cinquanta arrivò il molto più resistente nailon.
Calate le due molagne, ogni barca percorreva il suo solito tratto di lago, cercando di non invadere il territorio di altri pescatori. Quando il pescatore sentiva che la molagna tirava e produceva un rumore, perché girava una rotellina di ottone della frizione, era certo che il pesce aveva abboccato.
- Il pesce siluro
(Guido ed Elena Caldara, Davide Bettiga, Roberto, Sabrina e Mario Bettega, Graziella Piva, Marco e Moreno Bettiga, Mauro Bettiga, Grazia – Aurelio Signorelli, Elio De Bernardi, Aurelio Todeschini, Silvio Bettiga, Attilio Bettiga, Massimiliano – Andrea Barbiero – Milly Signorelli, Roberto Piva.)