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La Pesca

Un antico mestiere da sempre praticato sulle nostre sponde


Alcune foto, d'epoca e non...

I pescatori di Olgiasca raccontano

  • La caccia di selvaggina acquatica a Olgiasca e nel Pian di Spagna

“Negli anni dal ‘50 al ‘61 circa ho praticato la caccia agli uccelli acquatici. Usavo un “barchino” chiamato spingarda a quattro remi; di solito uscivamo a caccia

in due persone. La zona in cui cacciavamo partiva dal Pian di Spagna fino ad arrivare nei dintorni della costa di Olgiasca. Partivo da casa verso le quattro del mattino con un grande freddo nelle ossa perché il periodo adatto andava dall’autunno a fine gennaio. Arrivato sul posto mettevo in acqua gli stampi che sono anatre di plastica fatte e dipinte molto bene oltre naturalmente a parecchie anatre vive, di mia proprietà, che facevano da richiamo. Mi sdraiavo nel barchino e aspettavo. Quando le anatre passavano in volo erano attratte dal fortissimo richiamo delle mie e si posavano sull’acqua a circa 300 o 500 metri da me. Mi avvicinavo allora molto piano per non spaventarle, finché non erano a tiro. Sparavo con un cannoncino da 43 mm. posto tra le gambe. A volte si prendevano, se si era fortunati, fino a quindici uccelli, a volte solo due o tre, altre volte niente. Le specie che cacciavo erano: germani, folaghe, fischioni, canapiglie, alzavole, mestoloni, morette, etc. Negli anni ’50 – ‘60 ho cacciato anche in un capanno alla foce dell’Adda. Usavo un fucile. Quello che mi ha spinto per tutti quegli anni a fatiche e freddo è stata la grande passione”. (Testimonianza diretta a A.S. di anni 89).


  • Pesca alla tinca

“Pescavo la tinca in zona Precasciano, nel laghetto di Piona, ma a Olgiasca ci sono tanti altri posti. La tinca si può pescare dal mesi di agosto fino ad ottobre. Usavo due “bacchette” in legno di nocciolo oppure di castagno lunghe circa un metro o un metro e mezzo. Le fissavo in buchi o piccole sporgenze di roccia, prima però pasturavo, gettavo cioè in acqua ciò di cui le tinche sono golose: pezzi di polenta che facevo appositamente per loro, granoturco, fichi e altri cibi. La pesca alla tinca richiede molta pazienza. Ne prendevo poche, quattro o cinque per stagione. Le tinche fino al mese di luglio depongono le uova, poi girano a circa 10 metri dalla riva. La pesca della tinca è una vera e propria tradizione di Olgiasca. È cominciata nella prima metà del 900, come mi dicevano i vecchi”.


  • Pesca agli agoni dai piudée

“Io pescavo gli agoni fin da quando ero ragazzo. È una vera e propria passione che ho ereditato dai vecchi. La stagione degli agoni inizia il 15 giugno fino ad agosto. Ad Olgiasca non essendoci vere e proprie rive, non usiamo mettere come negli altri paesi rivieraschi cavalletti o tavole di legno che si prolungano nel lago. Per noi è diverso, forse più faticoso, ma forse le soddisfazioni sono maggiori. Noi peschiamo sui piudèe (rocce). Io uso ancora la mia canna di bambù, come una volta, lunga circa 5 metri, ma ce ne sono anche di 9 metri. Nella stagione adatta gli agoni si avvicinano alla riva per deporre le uova, mentre in inverno vanno al largo. Quella che sto per dire è una tradizione, ormai persa, che i nostri vecchi praticavano per poter pescare gli agoni ad Olgiasca. Non avendo il nostro territorio vere e proprie spiagge con sabbia e sassolini che mantenevano la riva pulita favorendo così la deposizione delle uova, portavano con sé sacchi di iuta pieni di sassi che venivano raccolti man mano nelle numerose cave del porto. Questi venivano spacàa (rotti) sino a ridurli in piccolissimo pezzi: si pulivano quindi le piccole rive di detriti come foglie, rametti ecc. I sassolini venivano quindi posti nell’acqua pulita per favorire così la deposizione delle uova. Tutto ciò veniva logicamente praticato qualche tempo prima, costava fatica, ma tanta era poi la soddisfazione nel vedere gli agoni pescati, che tutto si dimenticava. Gli agoni, a quei tempi, non venivano venduti (o molto raramente) ma servivano ad uso famigliare, erano fonte di cibo che il lago ci regalava”.

  • Pesca degli agoni con il quadrato

“Quando ero un bambino di sette – otto anni (1962) mio papà mi portava qualche volta con lui a pescare gli agoni con il quadrato. La nostra zona era in località Malpensata alla “Rivèt Celèst” chiamata così perché l’acqua è molto pulita. Qui c’erano meno pescatori perché a differenza di altri posti si prendeva meno, ma il luogo era più tranquillo.

Prima dell’avvento del quadrato tutti usavano el sibièl cioè una rete fatta passare in un cerchio di ferro, fissata ad esso con un manico lungo circa tre metri. Si entrava in acqua per circa setto o otto metri finché il lago arrivava alla vita. Dato il clima caldo eravamo in mutande! Io aspettavo che mio papà mi buttasse gli agoni che mettevo in un cesto sulle rocce intorno. Se il clima era favorevole in una serata prendevamo trenta o quaranta agoni che consumavamo freschi”.

  • Pesca con le reti

“Mio marito e mio cognato hanno praticato la pesca nel laghetto di Piona esattamente negli anni che vanno dal 1970 al 2000 circa. Erano pescatori di professione, tanta era la passione per quello che facevano, anche se costava fatiche e sacrifici. Usavano una barca a 2 remi di circa 7 m. Era bellissima e tenuta sempre in ottime condizioni: ogni anno veniva tirata a secco per eventuali sistemazioni e tirata a lucido. Era il loro orgoglio. Alla sera verso le 17.00 partivano con il loro carico di reti, di misura diversa secondo il tipo di pesce. Le calavano nell’acqua, lasciando vicino ad esse una campanella e una luce. Il mattino seguente, intorno alle ore 02.00, tornavano al lago e ritiravano il frutto del loro lavoro: lavarelli, agoni, qualche anguilla venivano tolte dalle reti sul posto, mentre il persico era sistemato una volta tornati a casa e subito filettato”.

  • Lavorazione e conservazione degli agoni

“Ormai vado poco a pescare agoni, ma ai miei tempi … Ricordo in modo particolare le donne che attendevano fino a tarda sera i mariti o i figli, con il pesce pescato; a loro spettava il compito di pulirlo. Il giorno successivo gli agoni venivano esposti al sole e alla breva e fatti essiccare per parecchi giorni. Alla sera però si ritiravano. Quando erano secchi al punto giusto venivano deposti nelle speciali tolle e pressati da un torchietto per far uscire l’olio. Le tolle si conservavano in cantina e, nel giro di qualche mese, gli agoni diventavano i famosi misultìn, che si abbrustolivano sul fuoco d’inverno e si mangiavano con la polenta”.

  • Pesca del lavarello

La mia passione per la pesca è nata quando facevo le scuole elementari. Durante le vacanze estive con gli amici e compagni di scuola si andava a pescare, un po’ per stare in compagnia, un po’ per divertimento. Si pescava di tutto: alborelle, agoni, scardole, trote.

Per la pesca del lavarello attualmente uso la mia barca e mi sposto sino ad arrivare nei “miei” luoghi preferiti. Il lavarello staziona a una profondità di circa 20 – 30 m. Per trovare i banchi di pesci oggi si usa un attrezzo chiamato ecoscandaglio che segnala la presenza di pesci senza specificare la specie. Il lavarello si pesca tutto l’anno eccetto il periodo che va dal 1° dicembre al 15 gennaio. Per pescare il lavarello serve una canna con mulinello per riuscire a raggiungere il fondo (20 - 30 m.). Alla canna è legato un filo di nylon lungo 3 – 4 m. a cui sono attaccati un massimo di 15 ami n° 14 distanziati uno dall’altro 30 – 40 m. Questi ami sono parzialmente ricoperti da un piccolo strato di plastica che può essere di colori diversi: rosso, verde, viola, giallo, arancione; questi colori servono per attirare il pesce che li scambia per vermicelli rimanendo così impigliato all’amo. Il pescatore sente la vibrazione della canna e vede il cimino (o punta) abbassarsi; dà un lieve ma deciso colpetto e il pesce rimane attaccato. Bisogna farlo nel modo giusto e l’esperienza è una buona compagna! Si dà inizio al recupero che viene fatto lentamente, senza fermarsi o dare forti scossoni. Arrivato a filo d’acqua il lavarello viene recuperato con il guadino (specie di prendi farfalle); viene poi messo in un secchio, ma se la stagione è calda lo metto in un piccolo frigo che porto con me per assicurarne la freschezza. Terminata la pesca il filo viene avvolto su apposite spolette (aspìn) con gli ami affranca uno ad uno. È da 60 anni ormai che vado a pescare ed ogni volta è un’emozione nuova. Il lavarello è ottimo cotto al burro e salvia, al forno con aromi (salvia, rosmarino, timo selvatico, detto appunto erba di pès ecc) alla piastra, in carpione se non è molto grosso ….”

  • Pesca con frosna (fiocina)

“La pesca con fiocina subacquea è una vera passione ed è più emozionante di quella classica. Da noi questo tipo di pesca si può praticare il località Laghetto di Piona, partendo dalla fine della spiaggia fino al confine tra i comuni di Colico e di Dorio presso Olgiasca. Si pesca solamente nelle ore notturne (un’ora dopo il tramonto fino ad un’ora prima dell’alba). La frosna deve essere solo di 7 punte. Si può usare solo da una barca spinta a remi utilizzando la lampada funzionante con gas. Il fucile non deve mai essere trasportato a mano carico. Si pescano vari tipi di pesce”.

  • Pesca delle alborelle

“Le alborelle sono sparite dal nostro lago, precisano i nostri pescatori olgiaschesi, sicuramente per un fattore naturale, ma anche perché i motoscafi ed altri natanti, si avvicinano troppo alle rive spaventando così i piccoli pesci”.


  • La pesca alla carpa

La carpa, un tempo molto pescata perché presente in quantità, soprattutto nel Laghetto di Piona, è purtroppo un pesce che da esso sta scomparendo. A parere dei pescatori questo sarebbe da imputare alla massiccia presenza di natanti che, con i loro rumori, scarichi e movimento intenso nell’acqua modificherebbero l’ambiente naturale di questo pesce. Il laghetto di Piona, perla di Olgiasca, vista la sua conformazione chiuso su tre lati, mal sopporta dal punto di vista naturalistico, tutto ciò.

  • Pesca della trota

L’indigena trota lacustre, con la sua livrea argentata e la sottile macchiettatura a X, è la regina del nostro lago. Nel tempo della frégola, da settembre a ottobre, la femmina risale in banchi i fiumi, soprattutto la Mera e l’Adda, per depositare le uova, accompagnata dai maschi che le fecondano subito dopo la deposizione.

Per la pesca fin dal Medioevo si usava la molagna che corrisponde all’attuale tirlindana o dirlindana a rullo. Nel Novecento i nostri pescatori usavano una molagna per la pesca di galla, quando le trote salivano in superficie a cercare le prede, e un’altra di fondo con pesi. Spesso però pescavano con le due molagne simultaneamente.

I pescatori le davano la caccia, nel periodo in cui non era vietata la pesca, sia durante la giornata che nelle notti di plenilunio. Uscivano di solito in due: uno remava e l’altro calava e ritirava le lenze, entrambi dovevano essere abili, perché la buona riuscita della pesca dipendeva sia dal rematore che dal pescatore.

Prima di salpare, i pescatori preparavano la barca con tutti gli attrezzi per la pesca. Sul burlùn, collocato in barca, è già avvolta la lenza di rame o di acciaio (el fil maèstru), con la prima parte del filo che si rilascia in acqua formata da un cordino leggero cui si attacca il peso della zavorra più grosso. Sul filo maestro a intervalli di dieci metri c’erano dei semplici anellini cui si agganciava il moschettone delle lenze con il cucchiaino. Al posto degli anellini oggi si usano le girelle a bandiera. Le lenze lunghe nove metri e mezzo venivano chiamate brasciöö. A inizio secolo questa lenza era fatta di crine di cavallo lavorato, poi negli anni Cinquanta arrivò il molto più resistente nailon.

Calate le due molagne, ogni barca percorreva il suo solito tratto di lago, cercando di non invadere il territorio di altri pescatori. Quando il pescatore sentiva che la molagna tirava e produceva un rumore, perché girava una rotellina di ottone della frizione, era certo che il pesce aveva abboccato.

  • Il pesce siluro

“Ho pescato un pesce siluro nelle acque attorno ad Olgiasca. Anche questo pesce che non è del nostro lago, contribuisce alla sparizione di svariati tipi di pesci”.

(Guido ed Elena Caldara, Davide Bettiga, Roberto, Sabrina e Mario Bettega, Graziella Piva, Marco e Moreno Bettiga, Mauro Bettiga, Grazia – Aurelio Signorelli, Elio De Bernardi, Aurelio Todeschini, Silvio Bettiga, Attilio Bettiga, Massimiliano – Andrea Barbiero – Milly Signorelli, Roberto Piva.)

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