EMILIO BROCCO mostra per i cent`anni dell`ARTISTA COLICHESE
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QUANDO LE DONNE FILAVANO...
Mostra di abbigliamento popolare tra fine 800 e metá 900
dall`8 al 15 Marzo presso AUDITORIUM di COLICO
dall`8 al 15 Marzo presso AUDITORIUM di COLICO
La mostra “Quando le donne filavano”, Abbigliamento popolare femminile tra fine Ottocento e prima metà Novecento a Colico e dintorni che si inaugura venerdì 8 marzo in occasione della Giornata internazionale della donna vuole soprattutto rendere un omaggio alla donna del nostro territorio e celebrare quel lungo processo di emancipazione femminile che si è espresso nella conquista dei diritti e, di pari passi, nel mutamento dell’abbigliamento.
In questo modo, il museo della cultura contadina fondato dal CIF e attualmente gestito dall’Associazione Amici del Museo di Colico vuole mantenersi fedele alle aspirazioni del gruppo fondatore finalizzato a sostenere fattivamente le cause del mondo femminile. trasporto fieno premana Trasporto del fieno a Premana Questa rassegna ragionata dell’abbigliamento popolare del secolo scorso è anche un’occasione per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto in molte parti del mondo. Infatti, l’abito tradizionale, se in qualche modo legava la donna alla comunità di origine, tuttavia la identificava come appartenente alla classe sociale subalterna, era segno di una serie di obblighi e mascherava, per imposizione maschile, le forme del suo corpo. Anche se oggi c’è un certo interesse a ricuperare nelle varie comunità locali i costumi del passato, non si deve dimenticare che questo abito femminile ci parla anche di una condizione di disagio e di discriminazione. Basti pensare che i due costumi più celebri del territorio, il morèl di Premana e l’abito delle Moncecche della Costiera dei Cech nella Bassa Valtellina erano scuri e volevano esprimere, forse anche per volontà maschile, la condizione di “perpetua vedovanza” di queste donne che per lunghi periodi dovevano vivere senza i mariti emigrati nelle ricche città del territorio italiano (Palermo, Roma, Venezia ecc) o all’estero. L’insofferenza per l’abito tradizionale è dimostrata da una foto scattata negli anni Venti su questo territorio di cinque suffragette ritratte in forma provocatoria di fronte a un fiaschetto di vino con abiti più moderni. Questa rassegna vuole sopratutto valorizzare il lavoro, ma più in generale, il ruolo della donna nel mondo contadino di fine Ottocento e prima metà del Novecento. Questo lavoro includeva, oltre alla cura dei figli, la preparazione dei cibi e il pesante lavoro nei campi prima e nelle fabbriche poi, anche la confezione artigianale degli abiti e dei tessuti per la casa con le fibre animali e vegetali: lana, seta, canapa, lino e cotone. Non ultimo, la mostra desidera mettere in luce i valori di quella cultura contadina legati all’abbigliamento popolare, quali il recupero e il riciclaggio dei materiali, la creatività, il gusto estetico, la praticità e la funzionalità, il piacere di confezionarsi i propri abiti, la fatica, ecc. Per questo alla fine del percorso, presenta alcuni esempi di attività artigianali femminili che sulla scia della tradizione locale ripropongono materiali e tecniche del passato. Questo evento culturale intende quindi offrire strumenti per indagare da vicino e individuare, attraverso oggetti concreti, la condizione femminile sul nostro territorio. Infatti si può asserire che la donna si copre il corpo per scoprire il suo io personale e collettivo. Nelle comunità locali l’abito, in parte già divenuto costume, svolgeva in quel periodo diverse funzioni oltre a quella pratica di proteggere dal freddo e dal caldo. L’abito connotava la differenza tra il tempo del lavoro, tantissimo, e il tempo della festa, tra il tempo feriale – profano e il tempo religioso dell’incontro con il “divino”. Sottolineava la diversa appartenenza a classi sociali: i tantissimi poveri e i pochissimi benestanti. Svolgeva pure una funzione morale in quanto impediva al corpo femminile di mostrarsi agli sguardi maschili, che non fossero quelli del marito. Scollature e abiti più corti e attillati erano consentiti solo alle signore delle classi borghesi. Per le ragazze di paese l’unico aspetto “erotico” concesso nell’abbigliamento erano i ricami a mano con fiorellini sul panèt dol col azzurro o bianco o rosa e poi fermato con una spilla vistosa sotto ol stampaa. L’abito in questi territori e in quei tempi svolgeva anche una funzione identificativa indicando con le sue fogge e i suoi colori, quasi fosse un passaporto, l’appartenenza a una precisa comunità, rilevando oltre al genere, la classe sociale e lo stato civile. Finalità della mostra La mostra si propone di presentare e confrontare una variegata gamma di abbigliamenti indossati dalle donne contadine tra fine Ottocento e primo Novecento su un territorio che ha come centro geografico Colico “terra di mezzo”. Sono rappresentati abiti femminile delle comunità comprese tra la Valvarrone, Valsassina (Premana e Pagnona), Muggiasca (Vendrogno), Val d’Esino, e la Bassa Valtellina (Piantedo, Delebio, Rogolo, Andalo, Dubino, Cercino e Mello) e Valgerola.
Il visitatore potrà apprezzare elementi comuni e differenze e scoprire, attraverso i capi esposti e le fotografie, l’evoluzione dell’abbigliamento femminile popolare e il passaggio dal vestito come abbigliamento al vestito come costume. In questa realtà molto ricca del recente passato non si potrà ammirare il costume del paese ospitante. Infatti dall’800 in poi Colico, comunità dai cinque campanili, è stata terra di immigrazione dalle zone circostanti e si è andata sempre più popolando a fine secolo, con l’apporto di famiglie contadine e lavoratori attratti dalle possibilità di lavoro offerte dalle terre bonificate e nelle nuove infrastrutture porto e strade. Questo ha influito sulla sua cultura popolare e, in particolare, sulle lingue dialettali e sull’abbigliamento. A Colico, comunità piuttosto eterogenea e della forte mobilità non si è così verificato la formazione di un costume tipico, come invece è accaduto in comunità più antiche e più stabili come per esempio Premana, Tremenico, Delebio e Cino, per citarne alcune di quelle rappresentate nella mostra. (R. Pozzi e G. Zugnoni)
In questo modo, il museo della cultura contadina fondato dal CIF e attualmente gestito dall’Associazione Amici del Museo di Colico vuole mantenersi fedele alle aspirazioni del gruppo fondatore finalizzato a sostenere fattivamente le cause del mondo femminile. trasporto fieno premana Trasporto del fieno a Premana Questa rassegna ragionata dell’abbigliamento popolare del secolo scorso è anche un’occasione per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto in molte parti del mondo. Infatti, l’abito tradizionale, se in qualche modo legava la donna alla comunità di origine, tuttavia la identificava come appartenente alla classe sociale subalterna, era segno di una serie di obblighi e mascherava, per imposizione maschile, le forme del suo corpo. Anche se oggi c’è un certo interesse a ricuperare nelle varie comunità locali i costumi del passato, non si deve dimenticare che questo abito femminile ci parla anche di una condizione di disagio e di discriminazione. Basti pensare che i due costumi più celebri del territorio, il morèl di Premana e l’abito delle Moncecche della Costiera dei Cech nella Bassa Valtellina erano scuri e volevano esprimere, forse anche per volontà maschile, la condizione di “perpetua vedovanza” di queste donne che per lunghi periodi dovevano vivere senza i mariti emigrati nelle ricche città del territorio italiano (Palermo, Roma, Venezia ecc) o all’estero. L’insofferenza per l’abito tradizionale è dimostrata da una foto scattata negli anni Venti su questo territorio di cinque suffragette ritratte in forma provocatoria di fronte a un fiaschetto di vino con abiti più moderni. Questa rassegna vuole sopratutto valorizzare il lavoro, ma più in generale, il ruolo della donna nel mondo contadino di fine Ottocento e prima metà del Novecento. Questo lavoro includeva, oltre alla cura dei figli, la preparazione dei cibi e il pesante lavoro nei campi prima e nelle fabbriche poi, anche la confezione artigianale degli abiti e dei tessuti per la casa con le fibre animali e vegetali: lana, seta, canapa, lino e cotone. Non ultimo, la mostra desidera mettere in luce i valori di quella cultura contadina legati all’abbigliamento popolare, quali il recupero e il riciclaggio dei materiali, la creatività, il gusto estetico, la praticità e la funzionalità, il piacere di confezionarsi i propri abiti, la fatica, ecc. Per questo alla fine del percorso, presenta alcuni esempi di attività artigianali femminili che sulla scia della tradizione locale ripropongono materiali e tecniche del passato. Questo evento culturale intende quindi offrire strumenti per indagare da vicino e individuare, attraverso oggetti concreti, la condizione femminile sul nostro territorio. Infatti si può asserire che la donna si copre il corpo per scoprire il suo io personale e collettivo. Nelle comunità locali l’abito, in parte già divenuto costume, svolgeva in quel periodo diverse funzioni oltre a quella pratica di proteggere dal freddo e dal caldo. L’abito connotava la differenza tra il tempo del lavoro, tantissimo, e il tempo della festa, tra il tempo feriale – profano e il tempo religioso dell’incontro con il “divino”. Sottolineava la diversa appartenenza a classi sociali: i tantissimi poveri e i pochissimi benestanti. Svolgeva pure una funzione morale in quanto impediva al corpo femminile di mostrarsi agli sguardi maschili, che non fossero quelli del marito. Scollature e abiti più corti e attillati erano consentiti solo alle signore delle classi borghesi. Per le ragazze di paese l’unico aspetto “erotico” concesso nell’abbigliamento erano i ricami a mano con fiorellini sul panèt dol col azzurro o bianco o rosa e poi fermato con una spilla vistosa sotto ol stampaa. L’abito in questi territori e in quei tempi svolgeva anche una funzione identificativa indicando con le sue fogge e i suoi colori, quasi fosse un passaporto, l’appartenenza a una precisa comunità, rilevando oltre al genere, la classe sociale e lo stato civile. Finalità della mostra La mostra si propone di presentare e confrontare una variegata gamma di abbigliamenti indossati dalle donne contadine tra fine Ottocento e primo Novecento su un territorio che ha come centro geografico Colico “terra di mezzo”. Sono rappresentati abiti femminile delle comunità comprese tra la Valvarrone, Valsassina (Premana e Pagnona), Muggiasca (Vendrogno), Val d’Esino, e la Bassa Valtellina (Piantedo, Delebio, Rogolo, Andalo, Dubino, Cercino e Mello) e Valgerola.
Il visitatore potrà apprezzare elementi comuni e differenze e scoprire, attraverso i capi esposti e le fotografie, l’evoluzione dell’abbigliamento femminile popolare e il passaggio dal vestito come abbigliamento al vestito come costume. In questa realtà molto ricca del recente passato non si potrà ammirare il costume del paese ospitante. Infatti dall’800 in poi Colico, comunità dai cinque campanili, è stata terra di immigrazione dalle zone circostanti e si è andata sempre più popolando a fine secolo, con l’apporto di famiglie contadine e lavoratori attratti dalle possibilità di lavoro offerte dalle terre bonificate e nelle nuove infrastrutture porto e strade. Questo ha influito sulla sua cultura popolare e, in particolare, sulle lingue dialettali e sull’abbigliamento. A Colico, comunità piuttosto eterogenea e della forte mobilità non si è così verificato la formazione di un costume tipico, come invece è accaduto in comunità più antiche e più stabili come per esempio Premana, Tremenico, Delebio e Cino, per citarne alcune di quelle rappresentate nella mostra. (R. Pozzi e G. Zugnoni)